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Gli sbandieratoci del produttivismo e dello sviluppismo - anche nella versione contrabbandata per "verde" o sostenibile - vorrebbero accreditare un'immagine settaria e marginale degli obiettori di crescita: un manipolo di utopisti tardomoderni con l'ossessione recessiva di far cambiare rotta alla civiltŕ. Ma la logica trionfante del "cresci o muori" non puň certo invocare maggior realismo, proprio quando si profila lo schianto del pianeta sotto il peso ecologicamente e socialmente funesto di iperproduzione, iperconsumo e iperscarto. Quell'insensatezza che oggi č diventata sinonimo di catastrofe viene da lontano, come chi in ogni tempo ne ha denunciato le storture che giŕ si annunciavano mortifere. Si tratta di filosofi, poeti, economisti, romanzieri, politici, teologi, di cui Serge Latouche fa qui l'appello in quanto precursori, pionieri e compagni di strada. Tutt'altro che gracile, l'albero genealogico della decrescita vanta il fior fiore del pensiero critico e della sapienza di diversi continenti, configurando una storia delle idee alternativa. In felice promiscuitŕ vi prendono posto cinici, epicurei e buddhisti zen, decrescenti di cittŕ e decrescenti di campagna, mistici e anarchici naturisti, oppositori dell'industrialismo agli albori e antiglobalisti attuali.
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